Nel 1948 Eduardo scrive La grande magia e Le voci di dentro. Il periodo storico è particolare: la guerra è finita da poco e ha lasciato dietro di sé macerie fisiche ma anche psicologiche. Gli Italiani sono disperati, disillusi, si sentono soli e non riescono a trovare valori positivi comuni su cui ricostruire la propria vita. La guerra ha creato uno stato di insicurezza, ha distrutto la ‘stima reciproca’ e sembra non esserci più spazio neppure per quella solidarietà che, al contrario, aveva caratterizzato gli anni della guerra (vedi Napoli milionaria). In un simile clima non c’è più possibilità di dialogo e di intesa. E ancora una volta, in aiuto del personaggio che vuole condividere e comunicare i propri valori, arriva la follia. Una pazzia che diventa l’unico mezzo per riavere gli affetti.
Ne La grande magia il prestigiatore Otto Marvuglia allestisce per gli ospiti dell’albergo Metropole uno spettacolo che prevede la momentanea scomparsa in un sarcofago di Marta, la moglie di Calogero Di Spelta. Alla fine del numero, però, la donna non ricompare perché è fuggita con l’amante. Per rimediare all’imprevisto, Otto escogita uno stratagemma: consegna al marito una scatola giapponese dentro la quale è rinchiusa la consorte. Ma c’è una condizione: “se voi aprite la scatola con fede, rivedrete vostra moglie” precisa il mago “al contrario, se l’aprite senza fede, non la vedrete mai più”.
Calogero non aprirà la scatola. Perché si rende conto di non avere fede, ovvero fiducia nel loro rapporto che, come lui ben sa, è in forte crisi da tempo. Piuttosto che rischiare che la donna non ricompaia, Calogero preferisce illudersi che la moglie sia lì dentro. La scatola diventa l’unico modo per mantenere l’equilibrio (seppur apparente) della loro vita coniugale in quanto metafora della gelosia in cui lui ha ‘intrappolato’ lei.
Questo suo folle ricorso alla magia durerà ben quattro anni. Alla fine, però, Calogero comprende che la moglie potrà uscire dalla scatola solo quando lui sarà finalmente pronto a riconoscere i propri errori di marito e a liberare la donna dalle briglie della gelosia. Questa catarsi sembra finalmente verificarsi nel terzo atto, quando il protagonista prende coscienza di essere stato “insopportabile, egoista, indifferente” con la consorte e decide di voler cambiare. Ora è pronto per aprire la scatola e far uscire l’amata. Ma arriva il colpo di scena che rimescola tutte le carte. Marta, pentita dell’adulterio, è tornata e ricompare come per magia (e con l’aiuto di Otto) davanti al marito. È invecchiata e confessa a Calogero il tradimento. Però per l’uomo quella non è sua moglie. Perché accettare che quella donna invecchiata e adultera sia davvero sua moglie implicherebbe la sconfitta di tutte quelle illusioni (di possibile fedeltà) legate proprio alla scatola che lo avevano tenuto in vita. E così, aggrappandosi al fatto che lei sia apparsa prima che aprisse la scatola, l’uomo può logicamente ritenere che non sia vero ciò che ha visto e sentito, e decidere di tenere per sempre chiusa la scatola nella quale adesso vive una sorta di creatura-ideale che nulla ha a che vedere con la Marta che ha dinanzi agli occhi.
In questo modo Calogero si condanna all’isolamento perché non riesce più a far fronte alla realtà e a reinserirsi nella vita dei suoi cari. Infatti la commedia si chiude con una sorta di dialogo privato con la scatola (“tienila ben chiusa e forse troverai il tesoro”) che segna la vittoria dell’illusione che si sostituisce alla realtà.