Quando i giovani restano: la storia di Gerry Santarella e del sogno di un birrificio artigianale nella sua terra.

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Quando arrivo al birrificio, ad accogliermi c’è un buon profumo. “È l’odore della fase di ammostamento, quella in cui si estraggono zuccheri e aromi dei cereali con acqua calda” mi spiega Gerardo. Lui, che di cognome fa Santarella e che appartiene ad una famiglia il cui nome a Candela (piccolo centro dei Monti Dauni) è da tempo immemore legato alla ristorazione, ha solo 29 anni e da circa un mese produce ufficialmente birra rigorosamente artigianale.

Nel suo “piccolo regno” (come lo chiama lui) in quel dell’incubatore di imprese del borgo dauno, è lui che cura ogni dettaglio: dalla scelta dei malti (non usa estratti già preparati, ma li compra personalmente) alle singole fasi della produzione fino alla vendita. Ad aiutarlo c’è un amico, Manuel. Insomma, Gerardo è quello che si dice un ‘mastro birraio’. Nel suo magazzino ha anche un piccolo mulino con cui macina personalmente i malti che “non devono diventare farina, ma chicchi spezzati dai quali sia possibile estrarre gli amidi e gli zuccheri durante la fase di ammostamento”. Fase che, per inciso, è quella che conferisce alla birra il suo stile. E dal momento che l’ammostamento è in realtà “tutta una questione di acqua” (gli zuccheri estratti dai malti dipendono dal tipo di enzimi attivati dalle diverse temperature e ph dell’acqua), Gerardo si è anche dotato di un impianto di osmosi per il trattamento dell’acqua. “Una stessa ricetta – mi dice – ma realizzata con acque differenti mi dà birre diverse. È per avere il controllo sulla birra che devo regolare i sali minerali dell’acqua”.

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E mentre mi spiega, con dovizia di particolari presi in prestito anche dalla chimica, le diverse fasi della produzione della birra a me in testa ronza un’unica domanda: chi glielo fa fare a passare le giornate chiuso qui a fare calcoli, a misurare e a controllare costantemente che tutto sia perfetto? A me che apprezzo un buon bicchiere di birra in compagnia e davanti ad una pizza, tutto questo ‘dietro le quinte’ sembra solo matematica e chimica.

È un lavoro creativo – mi spiega – che ti dà tante soddisfazioni perché i vincoli sono davvero pochi. Mentre per il vino sei legato al territorio, per la birra puoi comprare malti e luppoli da ogni parte del mondo e fare creazioni uniche”.

E poi, inconsciamente è quello che ha sempre voluto fare.

Facevo tutt’altro nella vita – mi racconta – lavoravo nell’ambiente dell’automotive-supercar però l’insoddisfazione era grande, la voglia di creare qualcosa di mio era tanta e mi sono messo alla ricerca di qualcosa che mi piacesse veramente. È così mi sono avvicinato al mondo della birra. Ho anche cercato e trovato delle scuole che potessero formarmi, ma alla fine non ho avuto il coraggio di mollare tutto e ho continuato la mia vita di sempre”.

Ma la passione per la birra è talmente forte che Gerry (come lo chiamano gli amici) non l’abbandona del tutto e anzi, inizia per gioco a farla in casa con un mini impianto all-in-one da soli 30 litri che gli dà qualche soddisfazione insieme a “tanta birra buttata nello scarico”. Poi, due anni fa si licenzia e corre a Padova per frequentare l’Accademia delle Professioni DIEFFE: tre mesi di lezioni full immersion più altrettanti di stage presso due birrifici. È fatta, Gerardo è pronto per realizzare il suo sogno: realizzare un birrificio tutto suo nella sua terra natia. Ma c’è un problema.

Non c’erano soldi. C’erano idea e passione – ammette – ma non c’era il modo di realizzarli. Dopo un po’ ho abbandonato il progetto. Avevo ricevuto delle proposte ed ero pronto per andare via anche se sapevo benissimo che non sarebbe stata la stessa cosa: lavorare per gli altri, soprattutto per realtà di un certo tipo e di una certa grandezza penalizza il tuo estro, non ti permette di dare libero sfogo alla tua creatività”.

Però tenta un’ultima carta: chiedere la disponibilità di un lotto presso l’incubatore di imprese. Lo fa per gioco, neanche ci crede che possa esserci posto per la sua idea. E invece c’è. Ma non è tutto: nel giro di sei mesi Gerardo ottiene anche un finanziamento grazie al Fondo della Regione Puglia a sostegno delle Nuove Iniziative d’Impresa (NIDI) e il sogno prende ufficialmente il via. Nasce così il brand ‘RellaBrew’ (Rella sta per Santarella) e inizia il percorso che porta alla creazione di due birre artigianali: la Pol-Cor che è una lager fatta con materie prime tutte made in Germany, e la Mayapa che è una APA (American Pale Ale) e che quindi ha un sapore più fruttato. Poi chiama anche un amico, Luigi Stefanetti, che crea le etichette: per la Pol-Cor il giovane grafico trasforma in una grande onda di birra la famosa opera di Katsushika Hokusai sostituendo il Fujiyama sullo sfondo con i due colli su cui sorge Candela, invece per la Mayapa sceglie il classico cagnolino realizzato con i palloncini in ricordo di Maya (l’amatissimo amico a quattro zampe di Gerry che ormai non c’è più). Insomma, la sua terra e i suoi affetti sono sempre presenti. La produzione destinata alla vendita inizia ad agosto e Gerardo decide di farla conoscere attraverso eventi (come la festa del grano) e la vendita nella versione alla spina nella pizzeria del padre. Ma in cantiere ci sono una terza etichetta e la voglia di collaborare con altri locali.

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Gerardo ha 29 anni e ha realizzato il suo sogno senza ‘fuggire’. E non l’ha fatto non solo perché ha avuto la possibilità di rimanere a casa, ma perché voleva costruire il suo futuro nella sua amata terra. E non è da tutti, ci vuole davvero tanto coraggio. Un coraggio che lo ha premiato.

Ad oggi sono contento – mi confida alla fine della nostra chiacchierata – e non solo perché la partenza è stata positiva, probabilmente merito anche dell’estate, stagione in cui è più facile bere (e quindi vendere, ndr) birra. Sono contento perché sono qui: Candela mi piace come base per il mio progetto perché con il suo vivere lento fa da ideale compensativo alla vivacità del mio lavoro. Però questo non mi impedirà di spostarmi e viaggiare per far conoscere le mie produzioni”.

Ad maiora, Gerry.