Ricordo poco del primo anno e mezzo di vita di mio figlio. Ricordo il momento in cui mi si sono rotte le acque, un sabato intorno all’una di notte. Ricordo l’emozione e la paura di quel momento, e poi le passeggiate nel corridoio del reparto maternità in attesa che iniziasse il travaglio. Ricordo la fatica del parto e che per una settimana sono rimasti impressi nella mia mente in maniera vivida i dolori del parto. Oggi fortunatamente non ne ho più memoria.
Ricordo di aver pianto quando è nato mio figlio, ma non ricordo se era per la gioia o lo sfinimento o per entrambe le cose. Ricordo tanta gente nella mia stanza in ospedale e gli animi tesi nonostante il momento (che doveva essere) di gioia. Ricordo il mio terrore che quella tensione esplodesse davanti a me buttando alle ortiche gli equilibri precari costruiti nel tempo.
Ricordo mio figlio che non voleva attaccarsi al seno e la solitudine delle notti passate in ospedale a cercare di consolare i suoi pianti disperati. Ricordo lo sfinimento di tutti quei vani tentativi.
Ricordo i miei pianti silenziosi quando gli davo il biberon perché mi sentivo inadeguata e giudicata. Ricordo che nessuno mi aveva preparata a questa eventualità che reputavo un fallimento personale. Ricordo che nel mio immaginario l’allattamento era la cosa più bella e naturale del mondo e che io non ero stata capace di fare.
Ricordo l’ansia e il timore che mio figlio non mi amasse perché non l’avevo l’allattato al seno.
Ricordo i sensi di colpa perché mi fidavo del pediatra e non lo facevo visitare da qualche altro medico, perché gli davo il ciuccio, perché ad un anno di età decisi di mandarlo all’asilo nido anche se non ero ancora tornata a lavorare, perché da quando andava al nido si ammalava più spesso.
Però non ricordo il suo primo dentino, il suo primo sorriso, la prima volta che ha detto mamma o che ha stretto il mio dito nella sua manina. Non ricordo quanto era soddisfatto quando beveva il latte (al biberon) mentre il suo peso finalmente aumentava.
Non ricordo… non ricordo tante cose. Perché ero troppo indaffarata a focalizzare l’attenzione su altre meno importanti. O meglio, su altri piuttosto che su me stessa e su mio figlio.
Il timore di ricadere in quella spirale è uno dei motivi che oggi mi spinge a non prendere in considerazione l’idea di un secondo figlio. Se durante i nove mesi di gravidanza fossi stata preparata a distinguere le cose importanti da quelle che non lo sono, oggi ricorderei tante cose belle che mi sono ‘persa’ nei primi mesi di vita del mio primo figlio. E forse accarezzerei l’idea di un altro frugolo per casa. Perché non basta aver preso coscienza dell’errore di valutazione che ho fatto: le cicatrici, sfortunatamente, sono rimaste e bruciano ancora. Probabilmente scompariranno con il tempo. O almeno me lo auguro.
Mi auguro di ricordare che una neomamma non è mai inadeguata perché non si nasce mamma, non si nasce con il certificato di genitori DOC, ma lo si diventa anche sbagliando (e non è detto che i neo-genitori sbaglino sempre!). Si impara ad esserlo ascoltando i propri figli, interpretando i segnali che mandano come il pianto, un sorriso, uno sguardo, una smorfia, un gridolino. Mi auguro di ricordare sempre di fidarmi del mio istinto di mamma, di non avere timore di fare un passo falso o di essere imperfetta.
Mi auguro di ricordare che mio figlio mi ama, anche se non l’ho allattato al seno.
Mi auguro che lo ricordiate SEMPRE anche voi, care mamme.