Stop al congedo parentale per i papà lavoratori. Lo ha deciso il Governo con la legge di bilancio 2019. Un applauso (di scherno) ai luminari che ci governano… ma va bene anche una pernacchia.
Il perché è presto spiegato. Nel 2012 la legge n.92, al comma 24 dell’art.4 stabiliva che “il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro”. In principio si trattava di un giorno obbligatorio (più due facoltativi da concordare con la madre) passato a due obbligatori e due facoltativi nel biennio 2016-2017 che sono infine diventati quattro obbligatori e uno facoltativo nel 2018 (tutti retribuiti al 100%). Il motivo? “Sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.
Insomma, nel 2012 qualcuno si era messo la mano sulla coscienza e aveva deciso che era tempo di rivedere le politiche di inclusione lavorativa delle donne e quelle di conciliazione lavoro-famiglia. Cosa buona e giusta, soprattutto alla luce del fatto che il Belpaese era (ed è) un po’ il fanalino di coda dell’Europa riguardo questo tipo di tutele.
Peccato che sia durato giusto il tempo di capire che esisteva questa possibilità. La nuova legge di bilancio, infatti, non prevede alcuna proroga.
Nonostante la legge abbia avuto un discreto successo: dati Inps alla mano, l’anno scorso i neopapà che hanno usufruito del congedo parentale sono stati 107.369, ovvero il 113% in più rispetto all’anno di entrata in vigore (2013).
Nonostante la politica di recente stia cercando di rilanciare la figura paterna all’interno di un ideale ‘tradizionale’ di famiglia. Nonostante le periodiche menate sul gap lavorativo di genere.
Persino il presidente dell’Inps Tito Boeri ha bacchettato la scelta del Governo affermando addirittura che era necessario “aumentare i giorni” perché “nelle piccole aziende l’assunzione delle donne spesso viene vista come un rischio e quindi bisogna dare un segnale dicendo che anche gli uomini si devono occupare dei figli“. Lui sì che ha capito come funziona realmente il mercato del lavoro.
Dunque l’Italia è il paese delle contraddizioni? Ma anche no. L’Italia è un paese fondamentalmente maschilista e, quindi, tutto è ammesso pur di non sovvertire l’ordine (pseudo)naturale dei ruoli: donna a casa, uomo al lavoro.
Dopotutto se un Alessandro Strumia (docente di Fisica all’Università di Pisa e ricercatore del Cern-Organizzazione europea per la ricerca nucleare) soltanto due mesi fa affermava che “la fisica è stata inventata e costruita dagli uomini”, significa che oggi c’è ancora chi crede che Herbert Spencer avesse ragione quando alla fine dell’Ottocento scriveva che la Natura aveva indebolito le facoltà intellettuali della donna per risparmiare l’energia necessaria alla riproduzione (‘The Study of Sociology’).
E in tutto questo mi chiedo: dove sono le donne che siedono sugli scranni romani?