Eduardo, Peppino e quel “veleno amarissimo” chiamato amore fraterno

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(da Bonculture del 7 luglio 2019)

Due galli in un pollaio. Erano Eduardo e Peppino De Filippo negli anni Quaranta all’apice del successo di pubblico e di critica, ma evidentemente al culmine delle ruggini di carattere professionale e personale. Eduardo era stanco del teatro umoristico e voleva dare una svolta alle sue commedie: sentiva impellente il bisogno di un “teatro nuovo” che raccontasse “un fatto di cronaca fantasioso quanto si vuole ma conforme alla realtà” (come scrisse nel 1946 in un articolo per ‘L’Opinione’ dove spiegava la genesi di ‘Napoli milionaria’ e il passaggio dai giorni pari a quelli dispari). Dall’altra parte c’era, invece Peppino, dalla vena “prepotentemente comica” che non approvava i cambiamenti che il fratello voleva fare e che per questo recitava controvoglia accarezzando l’idea di dire di sì all’ingaggio (tenuto nascosto al fratello) offertogli dall’impresario Remigio Paone per uno spettacolo di rivista. Ad esacerbare gli animi, inoltre, c’era stato il licenziamento da parte del fratello maggiore dell’attrice Lidia Maresca con cui Peppino aveva una storia d’amore (diventò la sua seconda moglie) e che evidentemente non andava giù ad Eduardo. Insomma, il 10 dicembre del 1944 la ‘Compagnia Teatro Umoristico: i De Filippo’ si sciolse: dopo l’ennesima violenta discussione i due fratelli non si parlavano più se non sulla scena. A raccontare come andò quella lite è stato Luigi De Filippo in una intervista rilasciata a ‘Repubblica’ nel 2009.

Fu una bella lite, accesa, mio padre (Peppino, ndr) si ribellò in maniera non solo violenta, ma, se vogliamo, anche ironica. Stavano provando al teatro Diana di Napoli, era il 1944. L’atmosfera era già tesa da un po’ di tempo, due galli in un pollaio non ci possono stare. Peppino voleva fare una cosa, Eduardo un’altra. Quella mattina Eduardo notò un atteggiamento svogliato da parte di mio padre alle prove e lo rimproverò davanti agli altri attori. Mio padre si risentì parecchio di quello che gli sembrò un gesto dittatoriale e si rivolse a Eduardo facendo il saluto romano e gridandogli in faccia: ‘Duce… duce… duce…’. Gli astanti dovettero intervenire per separarli”.

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Quella fu semplicemente la goccia che fece traboccare il vaso. Il rapporto tra i due fratelli, infatti, era un campo minato già da tempo come dimostra uno scambio di lettere conservate al Gabinetto Vieusseux di Firenze avvenuto nel luglio del 1942. Tuttavia allora da parte del minore dei De Filippo c’era stato il desiderio di smussare gli angoli e trovare un punto di incontro. Ecco cosa scriveva il 2 luglio.

Caro Eduardo,
se veramente, come sempre hai detto e fatto credere, io ho rovinato e potrei ancora rovinare i tuoi proponimenti artistici tenendoti ancora a me legato, dimmela francamente e con tutta sincerità; per quanto quella sincerità sia cruda, dolorosa e offensiva, come tu sai essere quando vuoi esserlo, io non farò che rispettarla e lasciarti libero della tua vita. Se al contrario credi che io possa ancora studiare con te e lavorare con te come ai nostri antichi tempi, non aspetto che una tua buona parola e ancora una volta saremo uniti nel nostro lavoro con lena e fiducia. (…) Nulla voglio trascurare perché i nostri rapporti tornino normali e logici. Se credi che un chiarimento possa giovare definitivamente, sono pronto a discutere su tutto con animo di artista e soprattutto di fratello.

La risposta di Eduardo non si fece attendere. Scrisse al fratello il 7 luglio, ma usando parole e toni decisamente differenti.

Caro Peppino,
ti pare che dopo quanto è accaduto fra me e te, dopo anni di veleno amarissimo… un semplice colpo di spugna può cancellare dal mio animo l’offesa e il risentimento? Tu dici: ‘Siamo fratelli’. Certo. E chi più di me ha saputo affrontare e comprendere questo sentimento? Credi che tu da estraneo avresti potuto infliggermi le torture morali che sistematicamente, minuto per minuto, mi infliggevi? L’amore fraterno è un sentimento da asilo infantile, credi a me. Fratelli si diventa dopo di avere guardato nell’animo di una persona come in uno specchio di acqua limpida… Scusami, ma io guardando nel tuo animo, il fondo non lo scorgo. La tua lettera è troppo ingenua. Io voglio tenderti la mano, ma con un chiarimento esauriente, onesto, sincero. Se tu mi vuoi bene come ai primi tempi della nostra miseria, vuol dire che nulla puoi rimproverarmi… mentre io, e questo è il mio più grande dolore, non ti voglio bene come allora: ti temo… Scusami se ti ho parlato così, ma è la maniera migliore per far diventare uomini due fratelli, e fratelli due uomini. (…) Ti vedrei volentieri.

Sappiamo che nei mesi successivi alle missive i De Filippo continuarono a lavorare insieme (merito anche della sorella Titina da sempre “ago della bilancia” tra i due) e ad inanellare un successo dietro l’altro. Ma la quiete era solo apparente: due anni dopo la compagnia si sciolse perché Eduardo e Peppino continuavano a concepire in maniera diversa il teatro e perché il secondo non riusciva più ad accettare l’autorità del primo che aveva potestà sulla scelta del repertorio, delle piazze e dei teatri e sull’ingaggio degli attori. “I De Filippo – affermò Peppino in una intervista nel 1972 – fino a quando siamo stati riuniti non esistevano, c’era Eduardo e basta. Era lui il capo, lui il mattatore, lui il genio della famiglia”.

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Presero strade diverse. Eduardo regalò al pubblico dei veri e propri reportage storici indimenticabili come ‘Napoli milionaria’ (1945), ‘Filumena Marturano’ (1946), ‘Le voci di dentro’ (1948), ‘De Pretore Vincenzo’ (1957), ‘Il Sindaco del Rione Sanità’ (1960) e ‘Gli esami non finiscono mai’ (1973) solo per citare alcune delle sue opere. Peppino, invece, continuò ad avere successo creando il personaggio di Pappagone, scrivendo e interpretando commedie leggere e girando film memorabili tra cui quelli in coppia con Totò.

I due, raccontano le cronache, non si parlarono più, almeno fino agli anni Settanta. A raccontare come avvenne la riappacificazione è stato sempre Luigi De Filippo in una intervista ad Antonio Gnoli per ‘Repubblica’ nel 2016.

Era il 1972. Convinsi mio padre ad andare al teatro San Ferdinando dove Eduardo recitava ‘Napoli milionaria’. Alla fine del primo atto, Eduardo restò sul palcoscenico in silenzio. E anche il pubblico, che aveva cominciato a muoversi, tacque. ‘Voi sapete – cominciò a dire Eduardo – che tra me e mio fratello sono incorsi numerosi fraintendimenti. Hanno detto che non ci vogliamo bene. Ma non è vero. Ora lui è in sala con il figlio e vorrei che salissero su questo palcoscenico’. Noi ci alzammo e la gente cominciò ad applaudire. Ero emozionato e Peppino aveva un’aria stralunata. Salimmo. Dopo un attimo di incertezza si abbracciarono. Poi, con gesto sovrano, Eduardo stese il braccio verso il pubblico: vedete come è semplice riconciliarsi. Dopo la recita andammo in una piccola osteria. Parlarono di tutto, evitando di affrontare progetti artistici che avrebbero creato nuove tensioni”.

In realtà non fecero mai pace definitivamente, neanche sul letto di morte di Peppino. Quando quest’ultimo morì (27 gennaio del 1980), Eduardo era al teatro Duse di Bologna. Quella sera ricordò al pubblico suo fratello con queste parole: “Peppino da vivo non mi mancava, mi manca molto adesso. Come compagno, come amico, ma non come fratello”. Non andò ai suoi funerali.

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