Questa è la storia di Lori e della sua famiglia. Lori è un bambino, ma biologicamente parlando. Sì, perché Lori si sente una bambina: si veste di rosa, ama i merletti e le fatine.
Camilla è la mamma di Lori (e di altri due bambini). La loro è una famiglia come tante che vive una vita come quella di tanti altri: casa, lavoro, spesa, scuola. Ma c’è una differenza: la gente ficca il naso nella loro vita rendendola complicata.
Ad un anno e mezzo Lori è innamorato di gonnelline e principesse, a casa si veste di rosa, indossa le sue adorate ballerine color oro, usa i pantaloni del pigiama a mo’ di capelli lunghi, guarda ‘Cenerentola’ e ‘La Bella addormentata nel bosco’ immedesimandosi nei personaggi femminili.
Per Camilla non c’è niente di male come non c’è niente di male se la sua primogenita si comporta da maschiaccio. Ma chi le sta intorno, molto presto inizia a dire la sua: “il bambino ha un problema”, “fallo vedere da uno psicoterapeuta”, “la colpa è tua perché assecondi questi capricci”. La serenità della famiglia vacilla. Camilla inizia per la prima volta a dubitare delle sue capacità genitoriali e per un momento pensa che gli altri abbiano ragione. Ma la serenità di Lori la rimette in carreggiata: non sta sbagliando ad assecondarlo.
Tuttavia il tarlo ha ormai preso dimora nella sua testa: perché Lori vuole solo e sempre vestirsi da femmina, perché si comporta esclusivamente da femmina?
La risposta arriva da internet. In rete trova tante famiglie come la sua che usano il web per raccontare e condividere la propria normalità. E così Camilla scopre che Lori è una bambina transgender. Per lei arriva il momento di fare i conti con gli stereotipi di genere, di fare outing. Decide quindi di aprire un blog per raccontare la sua esperienza, mettendo a disposizione informazioni e articoli che traduce dall’inglese. E poi pubblica il libro ‘Mio figlio in rosa’ (Manni Editori, 2017).
“Mai mi era passato per l’anticamera del cervello che un transessuale nascesse così. Per me i transessuali erano persone che a un certo punto della loro vita avevano dato un po’ di matto e deciso quindi di cambiare sesso. Il mio cervello era stato plasmato sull’idea che un transessuale fosse qualcuno da evitare, qualcuno legato al mondo della prostituzione, con una sessualità promiscua e molto probabilmente malato” racconta Camilla nel suo libro mettendo in evidenza quanto la società che la circonda abbia influenzato fino a quel momento il suo modo di vedere.
La realtà, dunque, è un’altra e molto più semplice e normale: Lori non si riconosce nel genere biologico di appartenenza (maschio), ma si identifica con quello opposto (femmina) e si comporta di conseguenza. Si chiama disforia di genere. Lori è felice quando può indossare i vestiti che vuole, giocare con i giochi ‘da femmina’, comprare l’astuccio rosa con gli strass, quando cioè può vivere secondo il genere che sente e non secondo quello anagrafico.
Camilla è finalmente sollevata, sa che Lori non ha una malattia da curare. Ma sfortunatamente vive in Italia e nel Belpaese i tabù la fanno da padrona. Così ad ogni nuovo anno scolastico deve spiegare un po’ di cose agli insegnanti, nei negozi e con la gente deve fare i conti con gli stereotipi di genere, mentre Lori fuori di casa non può essere se stesso al cento per cento (non indossa mai le tanto amate gonne).
Che fare per ritrovare la serenità dei primissimi anni di vita del secondogenito di casa? Se il problema è il contesto, allora basta cambiare città, o meglio Paese.
Camilla e i suoi tre bambini, infatti, oggi vivono a Valencia in Spagna.
“In Spagna – ha spiegato Camilla a Foggia durante la presentazione del suo libro organizzata da ‘Arcigay’ – essere trans non è un problema perché i problemi sono altri. Nella comunità valenciana un bambino che ha una varianza di genere può fare tutto quello che si sente di fare anche perché la legge glielo consente e lo tutela: può andare a scuola come una bambina, può farsi chiamare come vuole, può usare il bagno delle bambine, può vestirsi come vuole”.
Tuttavia ‘l’esperienza italiana’ ha lasciato il segno.
“Lori ha fatto suoi i condizionamenti italiani – ha raccontato – e ancora oggi ne sente il peso. Ad esempio, adesso che vive in Spagna come bambina e potrebbe mettere la gonna anche per uscire, non lo fa. Non avrebbe questi dubbi se fosse nato in un paese in cui la transizione sociale (possibilità di mettere vestiti adeguati, essere chiamati con il nome in cui ci si riconosce e con pronomi adeguati e corretti, ndr) è possibile appena il bimbo comincia a comportarsi come il genere a cui si sente di appartenere”.
Ma Lori oggi è finalmente una bambina serena con tante amiche e amici, e mamma Camilla non deve più sottostare al terzo grado e ai giudizi dei grandi. La Spagna è diversa. E in Spagna Lori, se vorrà, potrà anche proseguire il suo viaggio utilizzando i bloccanti che le impediranno di sviluppare voce grave, peli e barba, e una volta cresciuta potrà decidere quale percorso intraprendere.
Oggi Camilla Vivian non ha più dubbi.
“Lasciate liberi i vostri figli di esprimersi – ha evidenziato – e insegnate loro il rispetto per il prossimo. Non fateli sentire sbagliati magari utilizzando la classica frase ‘è nato nel corpo sbagliato’ con cui si cerca di dare una spiegazione a parenti e amici perché in questo modo caricate il bambino della responsabilità di ‘aggiustarsi’. In questo modo crescerà pensando di essere sbagliato e la sua autostima ne risentirà. Il supporto e l’accoglienza della famiglia sono le cose più importanti per un figlio”.