“Papà uccidi il mostro” è la richiesta di Federico. Aveva 9 anni quando nel 2014, poco prima di morire per un neuroblastoma, con un disegno e queste poche parole ha affidato al suo personale supereroe la missione di liberare la sua città dal cattivo: la Medea d’acciaio, la madre assassasina, l’Ilva di Taranto. La missione è fallita e Federico se ne è andato. Una storia comune a tante famiglie (non solo pugliesi) che ha ispirato un toccante cortometraggio.
La pellicola si chiama – appunto – “Papà uccidi il mostro”: è diretta e interpretata dall’attore pugliese Fabio Vasco su sceneggiatura di Antonio Mocciola, è prodotta da “Mag-Movimento artistico giovanile” con il patrocinio di Apulia Film Commission e distribuita da Premiere Film. Un film doloroso nato in un momento difficile.
“L’idea della tematica – ha raccontato l’attore e regista pugliese a ‘Bonculture’ – è nata durante il primo lockdown: stavo attraversando un periodo di crisi (professionale, ndr) e avevo bisogno di trovare nuovi stimoli magari raccontando il mio stato d’animo, quello di un Pugliese che ha sempre vissuto con la sua terra un rapporto conflittuale di amore e odio”.
Ha iniziato a navigare sul web alla ricerca di elementi che lo ispirassero, che traducessero in arte la paura diffusa dell’ammalarsi, l’amarezza del non potersi incontrare e toccare. E così si è imbattutto nel disegno di Federico che ritraeva le ciminiere dell’Ilva, il fumo nero che inquinava il cielo ed esseri mostruosi che divoravano Taranto. Sotto la scritta “papà uccidi il mostro”.
“Il disegno mi ha commosso molto – ha rivelato – e non ho potuto fare a meno di collegarlo alla situazione che stavamo vivendo. In quel momento ho pensato che dovevo dare voce a tutte le vittime dell’inquinamento industriale e lanciare un messaggio forte. Perchè i bambini spesso capiscono prima di noi adulti determinate cose, e noi restiamo inermi spettatori di questa cruda realtà”.
Il corto (che parteciperà a diversi Festival e rassegne fra cui il Giffoni e che è stato candidato ai David di Donatello) racconta, in un unico piano sequenza di nove minuti, la telefonata che un papà fa al figlioletto. Un uomo solo – si legge nella nota stampa di presentazione – in una casa vuota e dall’atmosfera sospesa, come in attesa di qualcosa, comunica col figlio malato, perso in un lontano lettino d’ospedale. Dietro i vetri delle finestre, nuvole gravide di pioggia si confondono col grigio plumbeo dell’Italsider di Taranto. Sul letto una valigia, per una partenza imminente. O forse no.
“All’inizio – ha raccontato Fabio – mi sono approcciato alla storia come un genitore che racconta il dramma della perdita di un figlio e non lo accetta, ma durante le riprese ho trovato un’altra chiave di lettura: mi sono messo nei panni di un genitore che non ha solo perso il figlio, ma che non può più essere padre. Mi sono messo nei panni di quanti mettono su famiglia perché la famiglia è il loro sogno e poi si vedono strappare questo sogno a causa dell’inquinamento. Mi sono messo nei panni del padre che non può più essere il papà, il supereroe al quale il figlio ha dato una missione. Una missione che è fallita. Nel mio piccolo con questo corto vorrei aiutare tutte queste famiglie a sconfiggere quel mostro tornando a respirare”.