La signora Giannina Di Brina – che oggi ha poco più di 70 anni – nel 2021 ha fatto una cosa che la maggior parte delle persone definirebbe “folle” e “fuori dal tempo”: a Carpino ha aperto il museo della tessitura. Un luogo che è una sorta di macchina del tempo che porta i visitatori alla (ri)scoperta dell’antica arte dell’uso del telaio: dalla filatura alla tintura della lana, dall’ordito alla trama fino alla realizzazione dei tessuti.
Un luogo che trasuda amore e passione per un mestiere che ha accompagnato Giannina fin da bambina, ma che racconta anche l’intraprendenza e l’indipendenza di una donna figlia del Gargano degli anni Cinquanta che sfidando tutto e tutti “non si è mai maritata” ed è stata capace di mantenersi da sola.
Comincia ad armeggiare con il telaio a soli 5 anni e diventa talmente brava che appena undicenne già ricama, realizza merletti all’uncinetto e il macramè, lavora ai ferri come una provetta tessitrice. Neanche maggiorenne parte per Bolzano dove lavora per una maglieria di alto livello. Ma non resiste molto. “A quell’età avevo voglia di vivere la grande città, ma ne sono rimasta presto delusa perché il lavoro in fabbrica si è rivelato monotono perché non c’era spazio per la creatività. Così sono tornata a casa” racconta.
A Carpino compra il suo primo telaio (ha solo 18 anni) e inizia a tessere nella sua terra, con impegno e dedizione per diversi decenni. I suoi manufatti fanno il giro del Belpaese: la ‘tessitura garganica’ di Giannina Di Brina, arriva fino a Camerino e approda anche alla Bit di Milano. Con lei e le sue opere d’arte c’è l’immancabile telaio che ogni volta monta pezzo dopo pezzo per mostrare quali meraviglie è capace di creare quello strumento arcaico. E perché spera sempre di far scoccare la scintilla nelle nuove generazioni affinchè questa tradizione non vada perduta.
E proprio per questo nel 2001 costituisce la cooperativa ‘Il Telaio di Carpino’ che si fregia del marchio dell’Ente Parco Nazionale del Gargano (e diventa associazione nel 2018) e viene chiamata quale docente in diversi corsi di formazione. Poi l’idea di aprire un museo della tessitura. Nel progetto investe i suoi risparmi di tessitrice artigiana e nel 2021 il suo sogno si realizza: quattro stanze ristrutturate di un palazzo nel centro storico dove oltre agli attrezzi del mestiere i visitatori possono ammirare una vasta esposizione di manufatti e una vera camera da letto antica con tutto l’arredo di una volta.
È un gioiellino. E oggi diventa parte importante di una rete con a capo il Museo Civico di Foggia (che vanta una interessante sezione etnografica), che vuole coinvolgere i musei più caratteristici e spesso poco conosciuti della Capitanata per ridare loro nuova linfa attraverso progetti, eventi e campagne. Una sorta di gemellaggio che vede il coinvolgimento degli ‘Amici del Museo Civico’ di Foggia, l’associazione ‘Il Telaio di Carpino’, la pro loco del centro garganico, l’Università delle Tre Età di Foggia e il Comune di Foggia.
“Lo abbiamo visitato lo scorso maggio in occasione di una escursione a Carpino sui luoghi del film ‘La legge’ – spiega il presidente ‘Amici del Museo Civico’ Carmine De Leo – e ce ne siamo innamorati. Perché contrariamente a quanto si possa pensare, l’arte della tessitura è un fil rouge che lega tutto il nostro territorio. Basti pensare che anche a Foggia c’erano telai in tutte le abitazioni e addirittura l’orfanotrofio che sorgeva dove ora c’è il parcheggio della Maddalena era una vera e propria fabbrica di corredi, per le orfane in primis ma anche per i privati che acquistavano la produzione in eccesso. Accadeva anche a Cerignola e San Severo”.
“Con la scomparsa delle ultime tessitrici anche quest’arte rischia di svanire perché le nuove generazioni sono interessate ad altro. Allora con questo progetto vogliamo sensibilizzare i giovani e incentivarli ad un atto d’amore e di riconoscenza verso le nostre madri e nonne” evidenzia il presidente della pro loco di Carpino Michel Simone.
“Si tratta di una tradizione che fa parte della memoria collettiva, dell’immaginario popolare – sostiene la presidente dell’Università delle Tre Età la professoressa Giovanna Irmici – e quindi non possiamo assolutamente trascurarla o dimenticarla. Anzi, può essere il volano di un turismo alternativo, quello non banale ma intelligente, che sappia coniugarsi con l’arte”.
“Il turista vuole portare a casa qualcosa del territorio – le fa eco De Leo – perché la foto e il mare non gli bastano più. Noi non abbiamo bellezze come il Colosseo, ma quello che abbiamo lo lucidiamo e lo mettiamo in mostra”.