Fino a dove possono spingersi la scienza e l’amore? Sarebbe il caso di mettere dei paletti per entrambi. Soprattutto se di mezzo c’è una vita umana.
Non stiamo parlando di uteri in affitto, coppie omosessuali, fecondazioni in vitro. La storia che in queste ore è venuta alla luce va oltre pratiche e leggi che dividono l’opinione pubblica. Perché ha implicazioni etiche che lascerebbero senza parole anche i più progressisti. Perché in questo caso è palese (e condannabile) l’egoismo di chi ha voluto una vita a tutti i costi, di chi ha voluto che un bambino nascesse quattro anni dopo la morte dei propri genitori.
Siamo in Cina. Shen Jie e Liu Xi sono felicemente sposati, ma non riescono ad avere figli. Ricorrono, quindi alla fecondazione in vitro. Siamo nel 2013 e dopo diversi tentativi sembra fatta: c’è un embrione pronto per l’impianto. Ma il destino beffardo decide che la coppia deve morire in un incidente stradale cinque giorni prima dell’impianto tanto agognato.
Una storia triste e dolorosa. Ma la vera tragedia inizia dopo quell’incidente. I genitori dei due ragazzi decidono di intraprendere una vera e propria battaglia legale per ottenere la custodia dell’embrione. E se finire in tribunale per una cosa del genere è irragionevole di per sé, il fatto che la Giustizia cinese accordi loro la custodia assume i contorni di una assurdità a tutti gli effetti. Eppure i nonni dell’embrione vincono la loro battaglia.
A questo punto della storia (siamo nel gennaio del 2017) vanno a cercare in Laos una madre surrogata che porti avanti la gravidanza (questa pratica è vietata in Cina). La trovano e voilà: a dicembre scorso nasce il piccolo Tiantian (che in cinese significa ‘dolce’). Per ottenere la sua custodia basta un test del DNA che confermi la parentela.
I nonni hanno dichiarato alla stampa che cresceranno Tiantian facendogli credere che i genitori sono partiti per un viaggio. Gli diranno la verità quando sarà diventato grande.
E lui come la prenderà? Cosa penserà? Può chiamarsi amore una cosa del genere?