Ironica, romantica e divoratrice di libri, Cecile Bertod (all’anagrafe Annalisa Ramundo) è ufficialmente una restauratrice archeologica che vive tra Napoli e Termoli. Il suo nome, però, è legato al best seller della Newton Compton ‘Non mi piaci ma ti amo’. Cecile, infatti, è una scrittrice con all’attivo poco meno di una decina di romanzi rosa. “Sostenevo con tutti di essere destinata a diventare una scrittrice famosa perché nata a quattrocentoquarantaquattro anni da Shakespere” scrive sul suo blog. Mi ha rivelato che scrivere è sempre stata una passione: “Non credevo sarebbe mai diventato un lavoro vero, ho provato solo per il piacere di farlo, poi ho visto che c’era concretamente la possibilità di occuparmi di libri come attività principale e ho fatto una scelta radicale. Non so se ho sbagliato, non so se me ne pentirò un domani, sono percorsi accidentati, rispetto a un lavoro d’ufficio, magari. Un pezzo di me continua a crederci, quindi resisto”.
L’ho intervistata all’indomani dell’uscita del suo nuovo lavoro, ‘Harem: le schiave di Sarnath’.
Parliamo del romanzo ‘Harem: le schiave di Sarnath’…
È una storia d’amore un po’ fantasiosa, tra un principe indiano e un medico volontario. Ci sono cose vere, cose meno vere. Mi sono lasciata guidare da fantasia e realtà allo stesso tempo. Cerchi di creare atmosfere particolari, più che altro per dare ampio respiro alle caratterizzazioni dei personaggi, che sono l’elemento fondamentale di un romanzo d’amore. La trama bene o male è sempre la stessa. Due persone si incontrano, si innamorano. Quindi è il contesto che fa la differenza. In questo caso ho voluto mettere tante cose a cui penso, che per me sono importanti. Il ruolo della donna nella nostra società. Com’è cambiato, quanto è davvero cambiato.
Sei autrice anche di un best seller (‘Non mi piaci ma ti amo’): qual è il segreto di questo successo?
In quel caso credo sia stata la leggerezza. A volte abbiamo bisogno di una valvola di sfogo. Siamo società complesse, iperattive, nevrotiche, che gestiscono vite segnate da orari massacranti. LE donne in particolar modo, oggi più di ieri. Costrette a gestire personalità differenti. Una nuova, che è quella della donna in carriera, una invece antica, cioè la donna che si occupa della famiglia. Quindi in sostanza mantenerci in equilibrio si fa più difficile, la narrativa di intrattenimento continua a svolgere questo compito. L’ironia un mezzo per vedere i problemi ad angolazioni meno tese, qualcosa che ci aiuti ad affrontarle con un po’ di spensieratezza in più.
Quali sono gli scrittori a cui ti ispiri?
Quando scrivo devo sempre pensare a cosa sto scrivendo. Quindi cerco di ispirarmi a chi fa le cose che faccio io, nel modo che piace a me ovviamente. Penso alla Kinsella, penso a Wodehouse, penso alla Marchesini. Mi lascio guidare da ironia, gentilezza.
Da dove arriva il nome Cecile Bertod?
Cecile Bertod era il personaggio di un libro, forse uno dei primi che ho mai scritto. Cercavo una personalità forte a cui ispirarmi per quella che speravo si sarebbe trasformata in una carriera, e ho scelto lei. Non ho usato il mio più che altro perché non trovavo particolarmente musicale il mio cognome. Sono piccoli dettagli che possono fare la differenza.
Hai iniziato con l’autopubblicazione e poi sei arrivata alla ‘Newton Compton’. Meglio il selfpublishing o l’editoria tradizionale?
Pro e contro. Entrambe ne hanno. Oggi con l’esperienza di poi direi meglio editoria, perché riesci a seguire progetti più complessi con professionalità differenti, il problema è quale editoria. Nel senso, con editoria si intende tutto, purtroppo non sempre in positivo. È una realtà molto particolare da noi, chiusa in se stessa come tutti i settori artistici, volta a garantire solo un determinato numero di persone, appartenenti a determinate categorie, non sempre volta a perseguire il nobile fine della cultura, a volte nemmeno dei libri in sé. Editori che più che altro si occupano di tenersi a galla facendo da tramite tra gruppi di potere e pubblico. Altresì trovi gente improvvisata, che si fa forte di un mercato condizionabile per tanti aspetti. Non riesco a scindere l’editoria dalla politica italiana, ho le stesse perplessità per entrambi. Per fortuna abbiamo realtà storiche che si sono sempre distinte per l’impegno culturale, accanto a nuove aziende che invece sentono il bisogno di puntare sui libri per l’amore che hanno per la lettura. Forse potrei rispondere a questa domanda a cuor leggero se ci fossero più lettori consapevoli, la consapevolezza in qualche modo determina la scelta libera.
Quali libri hai sul comodino in questo periodo?
In questo momento ‘La principessa Insomnia’ di Walter Moers, ‘American Gods’ di Neil Gaiman e ‘La versione di Barney’ di Mordecai Richler.
(Articolo scritto per ‘BonCulture’)