‘I martiri di G.’: capitolo VI

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L’orologio della chiesa suonò otto rintocchi. Per i commercianti di G. questo significava che era giunta l’ora di fermare il lavoro e ritornare a casa. La via delle botteghe era illuminata dalla luce dei lampioncini e nonostante il freddo pungente in strada vi era ancora qualcuno. Anche Eliano e il professore Spoleto si stavano attardando. Erano in compagnia del cappellaio che stava chiudendo il proprio negozio.

Dopo aver riposto la chiave del pesante portone di legno della sua bottega, l’uomo appoggiò un braccio sulla spalla del giovane studente. Stava per dirgli qualcosa quando in lontananza scorse un’ombra avvicinarsi. Sembrava portare qualcosa in braccio. Quando fu più vicino, i tre furono colti da sgomento.

L’uomo che a passo veloce stava andando loro incontro aveva il volto stravolto. Il suo cappotto era vistosamente sporco e tra le braccia aveva un corpo. Era quello di un ragazzino che non dava alcun segno di vita.

«Cosa è successo?» chiese spaventato il cappellaio correndo incontro all’uomo. Eliano e il professore lo seguirono senza esitare.

Una folla di curiosi si riunì intorno a loro. Si levò un rumoroso mormorio. L’uomo, Marino Gitto, si fermò. I suoi occhi erano spalancati e sembravano guardare nel vuoto. Il cappellaio ed Eliano si scambiarono uno sguardo di intesa e con delicatezza il giovane prese fra le sue braccia il corpo del ragazzino e lo adagiò a terra.

Il volto del piccolo era ricoperto di sangue. Eliano non impiegò molto a capire che le orbite degli occhi erano state private dei bulbi oculari.

«Cosa è successo?» chiese nuovamente il cappellaio scuotendo energicamente l’uomo.

Volevano trovare il colpevole. Eliano, il professor Spoleto e un’altra decina di uomini stavano battendo palmo a palmo la zona circostante l’abitazione della famiglia Gitto. Lo studente si era fermato vicino all’albero sotto al quale il padre aveva ritrovato il corpo martoriato del figlio. Era nervoso: la lanterna che aveva in mano non era sufficiente a fargli vedere come lui avrebbe voluto. Dopo alcuni minuti decise di rinunciare e di aspettare la luce del giorno per tornare a cercare qualche indizio che avrebbe permesso alla cittadina di G. di individuare il feroce assassino. Stava per raggiungere gli altri quando sentì qualcosa di morbido sotto i suoi piedi. Con la lanterna illuminò il terreno per vedere cosa aveva calpestato: a terra c’era un cappello. Si accovacciò per vedere meglio. Era un cappello nero a fasce grigie.

Intanto lo aveva raggiunto il rettore che alla vista di quell’oggetto impallidì. Eliano, che non si era accorto della sua presenza iniziò a realizzare.

«Questo è di…»

Intanto qualcuno degli altri uomini, da lontano, richiamò l’attenzione dei due.

«Presto, venite qui!»

Eliano raccolse il cappello e insieme al professore raggiunse gli altri che si erano radunati sul retro dell’abitazione.

«Qui ci sono delle orme» disse tutto d’un fiato il più anziano del gruppo indicando a terra.

«Potrebbero essere di chiunque, potrebbero essere del signor Gitto» esclamò Eliano senza neanche averle guardate.

«Non credo siano di una persona qualunque» sentenziò il più anziano invitando lo studente a guardare a terra.

Eliano, incuriosito da tanta sicurezza da parte di quell’uomo, diede una occhiata al terreno nel punto in cui gli era stato indicato. Sentì una fitta al cuore e il respiro fermarsi in gola. Non riusciva a credere ai suoi occhi. A terra c’erano delle orme lasciate dalle scarpe di qualcuno che era stato lì non da molto tempo. Ma non si trattava di orme qualunque. Sul terriccio umido erano state perfettamente impresse delle orme anomale: una era più profonda dell’altra.