Michele Savoia, il Pongo di ‘Me contro te’ ai ragazzi: “Non abbiate paura di rischiare”

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(da FoggiaToday)

Non te l’aspetti così. Perché fa parte di quella macchina da guerra da milioni di followers e incassi da capogiro chiamata ‘Me contro te’.

E invece Michele Savoia ti stupisce e ti conquista con una affabilità e una disponibilità che le star hanno raramente e che alla fine sanno molto del personaggio di Pongo. Pugliese, eclettico performer capace di passare con nonchalance dal ruolo di drag queen in ‘Tutti parlano di Jamie’ a quello di Orazio dell’Amleto di Shakespeare, e di conquistare il Maestro Michael Mann che l’ha voluto nel ruolo dell’ingegnere Carlo Chiti nel biopic dedicato ad Enzo Ferrari (“un sogno che si è realizzato” ci ha confessato), tra un impegno e l’altro ha trovato il tempo di fare una scappata a Foggia. Per la seconda volta ha deciso di mettere la sua esperienza ventennale a disposizione dei giovani di Capitanata con una serie di laboratori presso quella fucina di talenti che è l’Accademia Musical Art di Paolo Citro.

È bello venire a Foggia – mi dice – perché trovo sempre una calorosa accoglienza e tanta umanità. Qui faccio il carico di affetto e di abbracci e me li porto a casa. Siete meravigliosi”. E capisci subito che questa magia è reale, quando lo vedi parlare, ridere e abbracciarsi con i ragazzi e le ragazze che hanno assistito alla sua performance pre-laboratorio: ‘E non finisce mica…Mimì’, un monologo in cui ripercorre la vita e la carriera dell’indimenticata Mia Martini. Una scelta non casuale.

Perché parlare di Mia Martini?

Più di dieci anni fa dovevo scrivere un monologo di teatro di narrazione per uno spettacolo e senza un motivo apparente mi è venuta in mente la storia di questa grande artista. Tempo dopo ci ho riflettuto su e ho capito perché avevo scelto proprio lei e perché la fase di scrittura era stata così facile: la sua è una storia che parla di giudizio, di questo dito sempre puntato contro e che uso molto nella partitura fisica del monologo. È un tema a me molto caro perché sin da bambino ho dovuto farci i conti: quel ‘che deve dire la gente’ tipico dei paesini del Sud che ha ‘inseguito’ delle fasi importanti della mia vita come l’accettazione dell’omosessualità, il sogno di diventare attore e il problema del peso. Dovevo combatterlo e superarlo perché mi era entrato nella testa, nei muscoli, nelle vene, avevo sempre paura di deludere qualcuno. Raccontare la storia di Mia Martini è stata per me una catarsi. A posteriori ho capito che avevo bisogno di parlare di lei.

Nel monologo affronti anche temi come l’amicizia (quella con Renato Zero), la depressione, la dipendenza (dalla droga e dal compagno Ivano Fossati), la determinazione ad inseguire e realizzare i propri sogni: quella che racconti, quindi, non è solo la storia di Mimì…

A teatro ognuno legge e ‘sente’ le storie secondo il proprio vissuto. Dopotutto noi attori usiamo il pretesto della finzione delle maschere per raccontare la vita a tutto tondo e portare un messaggio o far sentire meno sola una persona. Il teatro è un momento di condivisione, che sia di una storia o di una emozione.

Ti dividi fra teatro, serie tv, cinema, produzioni impegnate e film più leggeri: come ci riesci?

Impazzendo (ride). In realtà a me diverte molto giocare e scoprire nuove vite, è questa la parte più bella del mio mestiere. Purtroppo in Italia questa poliedricità non viene sempre capita e il mondo cinematografico nostrano resta disorientato nel vedere, ad esempio, l’interprete di Pongo recitare poi nel film su Ferrari di Michael Mann. È una questione di pregiudizi, ma a me ormai non importa. Come ti dicevo, mi sono liberato di quel peso.

All’estero, invece, l’industria cinematografica funziona diversamente…

C’è un’altra mentalità. Prima di tutto si investe moltissimo e non parlo solo di cachet. Avere più soldi, infatti, significa potersi permettere più tempo per girare un film, curare i dettagli e fare le prove, ma anche concedersi il lusso di aspettare che l’attore arrivi al personaggio, alle sue emozioni. E poi sul set sono tutti alla pari: non importa se hai fatto una commedia, una tragedia o un film trash, anzi, apprezzano molto la versatilità. Invece in Italia non c’è tutto questo tempo (e soldi, ndr), quindi, viene scelto l’attore che in quel momento è più vicino al genere e che entrerà subito nel personaggio. Insomma, da noi non si rischia.

Tu, invece, hai corso un grosso rischio con il ruolo di Pongo nelle pellicole dei ‘Me contro te’: il successo è stato di tale portata che avresti potuto rimanere intrappolato in quel personaggio…

Sì ho rischiato tanto, ma proprio perché ero stanco dei pregiudizi. La vita è una sola e dobbiamo viverla al meglio. E poi quello dei ‘Me contro te’ è un lavoro che mi diverte da morire perché torno bambino. Inoltre il rapporto con Luì e Sofì è meraviglioso, si è creata una bellissima amicizia, ci vediamo anche fuori dal set. E comunque non ho smesso di rischiare: sarò a Londra con uno spettacolo e mi sto muovendo anche in direzione Los Angeles. Tanto, male che vada torno indietro: nella vita ho fatto il pescivendolo, il cameriere, la guida turistica, ho dato ripetizioni e distribuito volantini, quindi non mi manca lo spirito di adattamento. Non ho paura del cambiamento che, secondo me, è fonte di ricchezza. Perciò finchè si può, io rischio.

Non di rado ti si incontra nelle scuole a parlare con i ragazzi di bullismo e cyberbullismo…

So cosa significa essere una vittima e da bambino avrei tanto voluto che qualcuno mi parlasse e mi rassicurasse. Invece mi sono ritrovato solo e non perché i miei non mi fossero vicini, ma perché in quegli anni l’omosessualità era un tabù e il fenomeno del bullismo non era argomento di studio o di conversazione. Penso che oggi sia fondamentale parlare con i ragazzi e condividere la mia esperienza. Se posso, perché non devo aiutarli?

Cosa dovrebbero sempre ricordare i ragazzi di oggi?

Vorrei che capissero che il successo facile non esiste. Un mio insegnante di canto diceva che il talento è solo un’opportunità, è una delle carte da giocare perché bisogna lavorare per ottenere ciò che si vuole, con delusioni e porte in faccia annesse. E non mi riferisco soltanto al mondo dello spettacolo: avere successo significa essere felici, significa fare una cosa che ti piace che ti fa dire ‘ne è valsa la pena’.