‘I martiri di G.’: capitolo II

Eliano fu scosso dai suoi pensieri da un grido. Stava ancora cercando di capire cosa avesse udito quando vide venirgli incontro una gigantesca ombra nera. Con uno scatto fulmineo si scostò e solo quando quello che gli era sembrato un fantasma fu distante da lui alcuni metri realizzò che si trattava di un uomo a cavallo che probabilmente gli aveva urlato di scansarsi per farlo passare. Ma perché tanta fretta? Eliano sapeva che la risposta alla sua domanda era lì, nella ‘grotta di martiri’. Affrettò il passo, mancava poco alla meta. Già riusciva a vedere un folto gruppo di persone ferme davanti all’ingresso dell’antro maledetto. Mentre si avvicinava con passo svelto e con il cuore che batteva all’impazzata sia per l’emozione che per lo spavento provato poco prima, udiva sempre più distintamente lamenti e grida soffocate. Una volta arrivato passò in rassegna i volti di tutti i presenti quasi interamente coperti per ripararsi dal freddo, ma né scialli né cappelli erano sufficienti a nascondere il terrore dei loro occhi. Poi abbassò lo sguardo e vide una traccia scura dinanzi ai suoi piedi che sembrava provenire dall’interno della grotta. Quasi meccanicamente, ma scosso da un leggero tremore, Eliano seguì la scia fino a quando i suoi occhi si imbatterono in una pozza in mezzo alla quale vi era un corpo con il volto ricoperto di sangue. Al posto degli occhi vi erano due buchi. In quel momento gli sembrò che il sangue che ricopriva il volto, ormai rappreso, ricominciasse a scorrere nelle cavità oculari. Scorreva così velocemente che Eliano non riusciva più a distinguere il rosso del sangue dal colore più scuro delle cavità: aveva l’impressione che si fossero mescolati dando origine ad una nuova tinta. Tutto ciò gli procurò una terribile nausea. In silenzio si allontanò per respirare profondamente: era convinto che soltanto l’aria fredda avrebbe potuto bloccare quell’insopportabile malessere che voleva avere la meglio su di lui.

Mentre cercava di riprendersi vide arrivare due uomini a cavallo e intuì che uno di loro era sicuramente quello che poco prima lo aveva quasi travolto. L’altro era Marco Tullio Ferraris, stimato medico di G., uomo sulla cinquantina che da sempre esercitava sui suoi concittadini un certo fascino ammaliatore, quasi da incantatore. I suoi occhi avevano qualcosa di strano: erano di un blu intenso simile al colore del mare a certe profondità, quelle dove non arriva neanche la luce del sole e dove rischi di perderti.
Il dottore smontò da cavallo e incrociò lo sguardo di Eliano. Lo studente sentì raggelarsi il sangue ed ebbe la sensazione che il suo cuore avesse cessato di battere per un momento e che tutto intorno a lui si fosse fermato. Forse era morto, pensava, e quello era l’inferno. Ma la terrificante sensazione durò poco perché l’altro uomo a cavallo chiamò il medico. Il dottor Ferraris entrò nella grotta. Si fermò davanti al cadavere, lo scrutò qualche istante e dopo essersi tolto il cappello nero a fasce grigie si inginocchiò per esaminare le cavità degli occhi ormai prive di bulbi oculari. Non sembrava affatto turbato dalla raccapricciante scena, è probabilmente non lo era davvero.
«Non ha sofferto molto, prima è stato ucciso con un colpo al cuore» disse con voce ferma rimettendosi il cappello.
Poi uscì dall’antro mentre il silenzio che aveva accompagnato il suo arrivo era stato sostituito da un mormorio sempre più forte: l’analisi del dottore aveva colto di sorpresa gli abitanti di G. che atterriti dallo sfacelo del volto di quella vittima non avevano notato lo squarcio sul petto. Prima di rimontare sul suo cavallo nero, il dottore rivolse lo sguardo nuovamente ad Eliano.
«A volte i medici, loro malgrado, devono fare cose e dire verità che non vorrebbero. Ti ci abituerai» gli disse.
A quelle parole, nell’aria rimbombò un tuono cupo come se il cielo avesse voluto apporre il proprio sigillo a quanto era stato detto. Si sentiva un forte odore di pioggia.

 

 

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