È stato lo psicanalista a dirmi che sarebbe stato utile farlo: scrivere mentre lui era fuori città per una vacanza-studio. Ci siamo visti una volta soltanto, ad inizio estate, e dopo un’ora di chiacchiere mi ha detto: «Scriva tutto quello che le passa per la testa e quando torno dall’America ne parliamo». Io e lui. Come, io e lui?! E Ginger? Se quel giorno avevo deciso di passare sessanta minuti della mia vita nello studio di uno strizzacervelli, era stato solo perché ultimamente il nostro Ginger si stava comportando in maniera davvero strana, e io volevo capire perché.
Me ne ero accorta per caso. Eravamo in cucina e stavamo prendendo il caffè dopo pranzo. Il mio compagno mi stava spiegando ancora una volta quanto male facesse lo zucchero, soprattutto quello raffinato. Io, invece, stavo maledicendo in silenzio la zuccheriera che si era rovesciata sul tavolo facendo così scoprire il mio maldestro tentativo di dolcificare di nascosto il caffè approfittando di un momento di distrazione del mio compagno. Insomma, stava andando in scena un ordinario menage familiare quando il mio sguardo si è posato sulla boccia di Ginger. Di solito il nostro pesciolino rosso è un tipo molto attivo: dorme poco, è sempre vigile e attento a tutto quello che succede in casa e gli piace scorrazzare nella sua boccia. E poi è un giocherellone: erutta bollicine per la gioia quando ci vede (ecco perché l’ho chiamato come la celebre bevanda analcolica rossa), oppure si nasconde tra le foglie della piantina di plastica (l’unico lusso che si può permettere in una boccia così piccola) e aspetta che qualcuno di noi si avvicini per sbucare all’improvviso in una sorta di cucù-ba. Ecco, il mio Ginger è un mattacchione.
Però quel giorno no. Stava lì, sul fondo della boccia, vivo, ma immobile come una statua. Ne ero certa: aveva qualche problema.
Non sarà per caso depresso? Starà meditando di saltare fuori dalla boccia? continuavo a chiedermi. Ecco, lo sapevo: non c’è due senza tre. Ginger potrebbe essere il terzo pesciolino rosso che decide di farla finita in casa mia. Sì, perché dovete sapere che quando ero piccolina, i miei genitori per ben due volte mi hanno regalato un amichetto pinnato. E tutte e due le volte, a pochi giorni dall’arrivo, il nuovo inquilino ha deciso di fare un bel salto fuori dalla boccia per andare a morire sul pavimento. A quel punto i miei hanno rinunciato a fare un altro tentativo: ancora non ho capito se per evitare a me il terzo pianto disperato o se per risparmiare a loro l’imbarazzo nel negozio di acquari.
Da quel momento, quindi, in casa mia non è più entrato un pesciolino rosso. Almeno fino al giorno in cui il mio compagno si è presentato con «un bellissimo regalo per il piccolo di casa». In realtà nostro figlio (che ha 5 anni) non ne aveva mai fatto richiesta. Certo, gli piace il cartoon ‘Alla ricerca di Nemo’ e una volta mi ha anche chiesto di comprargli Amilcare (che nel cartone è il pellicano!), ma quando gli ho spiegato che non era possibile perché è un uccello molto grande che vive libero al mare e che non si può tenere in gabbia come il canarino dei nonni, non è più tornato sull’argomento animali-in-casa. Bene, allora perché regalargli un pesciolino rosso che – ad onor del vero – neanche assomiglia a Nemo? Nemo è un pesce pagliaccio, il nostro è un comune pesciolino di quelli che vinci al luna park. Mah…
Comunque alla fine Ginger è diventato parte della famiglia, e nonostante non volessi per timore di soffrire ancora, mi sono affezionata tantissimo a lui. Tant’è che lo porto con noi ovunque e in macchina viaggia sempre sul sedile davanti, sopra qualche scatola così che possa guardare dal finestrino e conoscere il mondo al di là della sua boccia. Il tutto a dispetto dei miei traumi infantili che per un po’ ero riuscita a dimenticare e forse anche a superare con il suo arrivo in casa, ma che adesso rischiano di tornare a galla.
Non sarà per caso depresso? Starà meditando di saltare fuori dalla boccia?
Oddio mi manca l’aria. Mi sento come se fossi in apnea e girassi in tondo a vuoto.